Amministrazione di sostegno. La Cassazione delinea i limiti di ammissibilità.
L’istituto della c.d. amministrazione di sostegno è ormai sempre più utilizzato nella prassi. Con l’allungarsi della vita, e soprattutto della vecchiaia, ci si trova spesso a far fronte ad un familiare in condizioni di incapacità di provvedere a sé stesso.
Ricordiamo che, mentre le previsioni originarie del codice civile prevedevano solo le figure della tutela, per l’invalido totale, e della curatela, per chi avesse una limitata capacità di agire, l’amministrazione di sostegno è stata introdotta con legge n. 6/2004, al fine di fornire uno strumento maggiormente flessibile ed adattabile, di volta in volta, al singolo caso, sull’assunto che ogni persona può avere una sua particolare limitazione della capacità di tutelare i propri interessi.
Tuttavia, non mancano i contenziosi sul punto, specie ove si consideri che spesso l’istituto coinvolge interessi patrimoniali su cui i parenti del soggetto amministrato sono pronti a litigare.
Da ultimo la Cassazione, con l’ordinanza 27.5.2024, n. 14689, ha stabilito che, ai fini della nomina dell’amministratore di sostegno, la condotta non collaborativa del soggetto beneficiario della misura non può, di per sé, costituire un indizio significativo della menomazione della salute, fisica o psichica. L’ambito dei poteri da conferire all’amministratore di sostegno deve rispondere alle specifiche finalità di tutela del soggetto amministrato e non può prescindere da risultanze espressive di un chiaro e significativo stato di menomazione.
Nel caso di specie, la persona di cui era stata chiesta l’amministrazione di sostegno, secondo la relazione dei Servizi sociali, era andata in pensione a causa di difficoltà psichiche, era stata in cura presso un centro di salute mentale, aveva tenuto comportamenti rischiosi anche per la sua salute, come trascorrere la notte in strada, dormendo su una panchina, non aveva dimostrato di saper gestire le sue risorse economiche. Inoltre, aveva rifiutato di farsi esaminare dal c.t.u. nominato dal Giudice.
Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto che la condotta non collaborativa della ricorrente e il suo rifiuto aprioristico di sottoporsi alle visite prescritte, non costituisse un indice significativo di una condizione di salute tale da rendere necessaria la nomina contestata.
In altre parole, il Giudice non può tenere conto solo di elementi di natura indiziaria circa lo stato di salute della possibile beneficiaria, non sorretti da chiari ed univoci accertamenti clinici e diagnostici. Inoltre, il rifiuto di quest’ultima a sottoporsi alla misura, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuto in considerazione dal giudice, il quale deve verificare la possibilità, in concreto, che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi come, ad esempio, avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe o di un’adeguata rete familiare (v. pure Cassazione, sentenza n. 21877/2022).
In conclusione, la Suprema Corte ha stabilito che mancavano i presupposti per la nomina dell’amministratore di sostegno, la quale avrebbe implicato un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona.
Francesco Salimbeni