Alzheimer o patologie a rischio di vita
Per i malati di Alzheimer o di patologie che mettono gravemente a rischio la vita, il ricovero ospedaliero nelle RSA o nelle CASE DI CURA non può essere diviso tra lo stato e la famiglia del paziente, ma deve essere totalmente a carico del servizio sanitario nazionale.
Raccogliendo la documentazione per la dichiarazione dei redditi presso i nostri sportelli, spesso, noi operatori, ci siamo imbattuti nelle cosiddette spese per ricovero ospedaliero presso le case di cura e, opportunatamente, abbiamo distinto le spese di assistenza specifica dalle spese di ricovero, le cosiddette rette, così come, i cittadini nel chiedere la partecipazione del Servizio Sanitario Nazionale alle spese di ricovero delle persone malate, normalmente sanno che devono partecipare al pagamento delle rette, ragion per cui, la domanda che ci poniamo, considerato oltretutto che sono costi spesso e volentieri molto elevati, è se è giusto che i famigliari dei malati paghino anche se in parte il ricovero presso l’ospedale di un congiunto gravemente malato. In merito, rileviamo che per i malati di Alzheimer non è dovuto il contributo alla retta della casa di cura. Lo ha chiarito, accogliendo il ricorso presentato contro una sentenza emessa in primo grado dal tribunale di Padova e in secondo Dalla Corte d’appello di Venezia, dal figlio di un anno persona gravemente malata ed affetta da: demenza senile in morbo di Alzheimer, atrofia cerebrale, cardiopatia fibrillante, stenosi della valvola aortica, ipertensione arterioso, pan-vasculopatia, poli artrosi, osteoporosi, esiti di protesi di anca destra, incontinenza urinaria, diverticolosi, la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 13714 del 18 maggio 2023.
Nella suddetta decisione, la Suprema Corte, rileva che, in merito: “quel piano terapeutico personalizzato fosse dovuto, e che quindi sussistesse la necessità, per il paziente, in relazione alla patologia della quale risultava affetto (morbo di Alzheimer), dello stato di evoluzione al momento del ricovero e della prevedibile evoluzione successiva della suddetta malattia, di un trattamento sanitario strettamente e inscindibilmente correlato con l’aspetto assistenziale perché volto, attraverso le cure, a rallentare l’evoluzione della malattia e a contenere la sua degenerazione, per gli stati più avanzati, in comportamenti autolesionistici o potenzialmente dannosi per i terzi.”
Questo significa che: “Solo qualora si escluda in concreto la necessità che per il singolo paziente affetto da Alzheimer, per la sua storia sanitaria personale, la prestazione socioassistenziale sia inscindibilmente legata con la prestazione sanitaria, è legittimo che parte della retta di degenza sia posta a carico del paziente.”
Al contrario, quando “l’attività prestata in favore di soggetto gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi dell’art. 30 della legge n. 730 del 1983, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde, in quanto comunque dirette, anche ex art. 1 D.P.C.M. 8 agosto 1985, alla tutela della salute del cittadino; ne consegue la non recuperabilità, mediante azione di rivalsa a carico dei parenti del paziente, delle prestazioni di natura assistenziale erogate dal Comune”.
Quindi, nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano essere eseguite «se non congiuntamente» alla attività di natura socioassistenziale, cosicché non sia possibile discernere il rispettivo onere economico prevale, in ogni caso, la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre prestazioni di natura diversa debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità necessaria, essendo dirette alla «complessiva prestazione» che deve essere erogata a titolo gratuito, dimostrata la natura inscindibile ed integrata della prestazione: in tal caso, infatti, l’intervento sanitario- socio assistenziale rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce all’assistito, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, secondo un piano di cura personalizzato.
Successivamente, la Sezione Lavoro di questa Corte (Sent. n. 22776/2016) ha ribadito che «in tema di prestazioni a carico del S.S.N., l’art. 30 della I. n. 730 del 1983 – che per la prima volta ha menzionato le attività di rilievo sanitario connesse con quelle assistenziali – deve essere interpretato, alla stregua della I. n. 833 del 1978 che prevede l’erogazione gratuita delle prestazioni a tutti i cittadini, entro i livelli di assistenza uniformi definiti con il piano sanitario nazionale, nel senso che, nel caso in cui oltre alle prestazioni socio-assistenziali siano erogate prestazioni sanitarie, tale attività, in quanto diretta in via prevalente alla tutela della salute, va considerata comunque di rilievo sanitario e, pertanto di competenza del S.S.N.».
La stessa Corte ha altresì precisato che: “L’erogazione di prestazioni sanitarie “pure” o “inscindibili” con quelle socioassistenziali, che si configura quando l’assistito, sia o meno autosufficiente, debba essere sottoposto ad un programma terapeutico, in mancanza del quale non assume rilevanza che la struttura sia accreditata dal S.S.N., in quanto la prestazione rimane estranea all’ambito dell’assistenza sanitaria obbligatoria, ricadendo nella disciplina generale delle prestazioni sociali di cui alla I. n. 328 del 2000, con la precisazione che, ai fini della obbligazione di compartecipazione alla spesa in capo al paziente (nella specie, malato di Alzheimer) non rileva che il piano terapeutico di elevata integrazione coi profili assistenziali sia stato concordato, o attuato, ciò che rileva è che esso, per l’assistenza di quel singolo paziente, fosse necessario per assicurargli la tutela del suo diritto soggettivo alla salute e alle cure.”
Entrando nel merito della vicenda, La Corte ha sottolineato che: “Per le ragioni che precedono, assorbito il terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Venezia, in diversa Sezione e comunque in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame alla luce dei principi di diritto sopra ribaditi.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione. Stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto all’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13”.
In conclusione, la retta del paziente ricoverato in una casa di cura e sottoposto a terapia per patologia di Alzheimer è totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale. In altri termini, in questi casi, non è possibile scindere tra le spese di natura sanitaria di competenza del Servizio Sanitario Nazionale e quella di supporto, le cosiddette rette accessorie al servizio di assistenza sanitaria. Questo perché il ricovero non è dovuto ad una scelta di opportunità individuale, ma ad una necessità oggettiva dovuta allo stato di malattia del soggetto, quindi, di fatto, esiste una stretta correlazione fra le due tipologie di spese ed entrambe concorrono alla tutela della salute del paziente.
È chiaro che, come ha stabilito la Corte, il limite di demarcazione è strettamente correlato alle condizioni del malato e solo nel caso di impossibilità a gestire la patologia presso l’abitazione quindi, nell’obbligo del ricovero, è possibile chiedere l’intera partecipazione o la copertura dell’intero costo al servizio sanitario nazionale. In altri termini, deve trattarsi di una situazione in cui il paziente ha la necessità di cure sanitarie continue da parte di personale specializzato infermieristico e medico senza le quali non può sopravvivere.
Carlo Fantozzi